il Piccolo, 4 gennaio 2010
Quando il filosofo decide di scendere in campo e si inventa consulente
Cosa posso sapere? Cosa devo fare? Cosa posso sperare? Sono le domande che un certo signor Kant poneva nella “Critica della ragion pura”. Era il 1877. A rispondere si sono impegnate categorie precise: filosofi, preti e poeti. Ma se gli ultimi hanno desistito da decenni, mascherando l’«infinito» con realtà più prosastiche, i primi, in qualche misura, ritornano al cuore del problema. Vero è che pure la filosofia può esprimersi attraverso altro, non è necessario rimanere ancorati ai grandi quesiti. Oggi si fa filosofia anche parlando di gioco, umorismo, desiderio.
Sta di fatto che a coniugare questo e quello ora ci sono le cosiddette “pratiche filosofiche”, di cui il “Consulente e filosofo” (Mimesis, pagg. 150, euro 13,00) è il protagonista. Curato da Pier Aldo Rovatti, il libro è il risultato di un convegno sul tema, realizzato dall’Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche, che per chi non lo sapesse ha sede proprio qui, a Trieste. Attualmente l’Osservatorio è composto da Pier Paolo Casarin, Annalisa Decarli, Alessandra Giannelli, Gabriele Grosso, Massimiliano Nicoli, Tiziano Possamai, Pier Aldo Rovatti e Francesca Scarazzato.
Ma chi è il consulente filosofo? A parafrasare le parole potremmo risponderci che è un individuo, presumibilmente laureato in filosofia, a cui si chiede una consulenza. Per cosa e per chi lo dicono i tanti interventi registrati nel libro, coniugati alle richieste di un singolo, di un’azienda o di un’istituzione come la scuola. Ma attenzione, non è così semplice. Perché a mettersi in discussione è la filosofia stessa, la quale, come scrive Possamai, ha a che fare con una presa di distanza – da se stessa e dalla realtà – indagando invero lo spazio del simbolico. Non semplicemente per portare alla coscienza un problema, ma per esaminarlo al giusto grado di raffreddamento. Si indaga quindi proprio quella distanza che contraddistingue l’azione. Malessere e benessere sono sempre dettati da rapporti di potere, e Foucault arriva dopo lo spazio di una pagina.
Va da sé che ad andare sotto esame è il potere della filosofia stessa, il potere del sapere e bla bla bla, del linguaggio e del filosofese. Peccato. Peccato che per l’ennesima volta la politica entri dalla porta principale, quasi a perdere di vista il fuoco originario per inserire nel mirino concetti come “resistenza” e “governo”. Questione che prende quota nella seconda parte, curata da Massimiliano Nicoli, per il quale il filosofo dovrebbe indossare il sombrero di Pancho Villa. E per quanto Nicoli si spenda a negare un uso di tali pratiche per eventuali organizzazioni sindacali, il gergo usato tradisce un empito rivoluzionario d’altri tempi.
A tirare le giuste somme, tra i tanti interventi, quelli di Neri Pollastri restituiscono uno sguardo più adatto al rilancio. E non c’è dubbio, il nome da cliccare sarebbe il suo, per una pratica filosofica mirata all’individuo, una pratica che pratichi la “parresia”, e cioè il «mettersi in ascolto e tentare di comprendere la tua diversità». Perché altrimenti «smetto di fare il filosofo e inizio a fare un lavoro strategico». Allo stesso modo, dirottate sull’azienda, convincono di più le pratiche di Gabriele Grosso e Giorgio Giacometti. E in ogni caso, a prescindere da scuole e idee, “Consulente e filosofo”, libro chiarissimo anche per i non addetti, pare stare al centro di una svolta, che mette in crisi l’idea stessa di filosofia. Una sorta di scommessa epocale sull’adeguatezza del “filosofare”. Ché poi certe scienze stanno in piedi proprio per la loro inutilità. Vedremo come andrà a finire.
Mary B. Tolusso