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In questo libro Tiziano Possamai dialoga con Michel Foucault, Peter Sloterdijk e Gregory Bateson, autori apparentemente lontani per cultura e campi di sapere, ma che in realtà condividono importanti esperienze e nuclei di pensiero.

Il volume è diviso in tre parti tra loro connesse e al tempo stesso del tutto indipendenti. I fili che le uniscono riguardano alcuni aspetti cruciali della vita di noi tutti. Innanzitutto la questione di cosa significhi essere e diventare un soggetto. Quindi il nodo delle nostre condizioni di produzione, nonché degli spazi di dipendenza e dei margini di libertà che tali condizioni implicano.

Ogni parte del libro evoca quella presa di distanza da sé che, proprio nella misura in cui allontana, può avvicinare a se stessi; al contempo cerca a suo modo di sondare, insieme a ciò che ci fa essere quello che siamo, anche ciò che potrebbe spingerci a diventare qualcosa di migliore e di diverso.

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In 1956, together with his research group, the anthropologist Gregory Bateson published a theory that was to revolutionize the way of conceiving mental illness. Over the years, the central concept of this theory, the double bind, proved effective in an increasing number of fields of knowledge: from the theory of communication to epistemology, from sociology to pedagogy, from literature to philosophy.

Through an examination of the inception and development of this concept, the book retraces the main themes, connections and critical points that mark the whole of Bateson’s multifaceted research: from the early ethnographic surveys in New Guinea through to the ecological ideas of his later years, including the cybernetic reflections, his studies of human and animal communication, his work in the psychiatric field.

This analysis of the double bind theory is not only a guide to the work of one of the most unpredictable and original thinkers of the last century, but also gives access to essential theoretical tools for bringing into focus a number of increasingly persistent contemporary problems.

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L’argomento centrale di questo libro è un nuovo tipo di inconscio, diverso dall’inconscio psicoanalitico tradizionale. Ne fanno parte tutti gli automatismi (motori, cognitivi, emotivi) interiorizzati dal soggetto durante la sua formazione e il suo sviluppo grazie alla ripetizione, volontaria o involontaria, di determinate esperienze e situazioni.

Questi schemi contribuiscono a definire, senza che ce ne rendiamo conto, i nostri modi abituali di leggere e di affrontare gli eventi del mondo e sono alla base di molte delle nostre più diffuse e profonde abilità, ma anche di molte nostre insufficienze e incapacità.

L’indagine si dispiega a partire da questa contrapposizione e si pone in dialogo continuo con la teoria psicoanalitica freudiana dell’inconscio, della quale capovolge e al contempo arricchisce la prospettiva, mettendo in luce oltre all’importanza di ridurre anche la necessità di custodire e di ampliare gli spazi d’inconsapevolezza e oblio di sé, nei quali dimora ogni concreta possibilità di sviluppo, salute e trasformazione del soggetto.

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Si parla molto in questi anni di consulenza filosofica, di un possibile uso pratico della filosofia per far fronte al disagio esistenziale dell’individuo. Si parla molto meno, invece, non solo del contributo che la filosofia ha dato e può continuare a dare al prodursi di quel disagio, ma anche del contributo che quel disagio ha dato e può continuare a dare alla filosofia e al prodursi dell’individuo.

Nella complessità di questo intreccio si celano le principali difficoltà di questa nuova emergenza, difficoltà che vanno di pari passo con le sue principali possibilità di dare un senso a quel disagio riducendo, e non accrescendo, la pervasività terapeutica della nostra cultura.

Il libro comincia a farsi carico di questa complessità proponendo una serie di analisi che mettono in luce, oltre ai punti di forza, anche le contraddizioni di fondo che animano questa nuova professione e lo spazio sociale da cui essa scaturisce.

Una riflessione su un fenomeno che si offre anche come un tentativo di sondare, a partire dalle sue condizioni di produzione, i suoi spazi del possibile.

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libro

Nel 1956, con il suo gruppo di ricerca composto da Don D. Jackson, Jay Haley e John H. Weakland, l’antropologo Gregory Bateson pubblica una teoria che rivoluzionerà il modo di concepire la malattia mentale, diventando un punto di riferimento del movimento antipsichiatrico e di un centro di ricerca tra i più fecondi del nostro tempo, il Mental Research Institute di Palo Alto. Nel corso degli anni, il concetto centrale di tale teoria, il doppio vincolo, mostrerà la propria efficacia in un numero sempre più ampio di campi del sapere: dalla comunicazione all’epistemologia, dalla sociologia alla pedagogia, dal campo letterario alla filosofia.

Nel ripercorrere la nascita e gli sviluppi di questo concetto il libro illustra, oltre alle principali nozioni e connessioni, anche i punti critici che attraversano la multiforme ricerca di Bateson: dalle prime indagini etnografiche in Nuova Guinea fino alle riflessioni ecologiche degli ultimi anni, passando per l’esperienza cibernetica, gli studi sulla comunicazione umana e animale, il lavoro in campo psichiatrico.

Formulata in origine come ipotesi esplicativa della schizofrenia, la teoria del doppio vincolo mostra in questo percorso di custodire al proprio interno non solo le chiavi d’accesso all’opera di uno dei pensatori più originali del secolo appena trascorso, ma anche gli strumenti teorici essenziali per mettere a fuoco alcuni dei nodi che assillano con sempre maggiore insistenza il nostro presente.

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